Uno degli aspetti più divertenti dell’era 2.0 è che c’è sempre qualcuno con la risposta pronta. L’altro giorno infatti non ho fatto in tempo a twittare l’ultimo post che subito è arrivata la sentenza: siamo una generazione attendista!
Confesso che la cosa mi ha un po’ spiazzato, lì per lì mi sono forse anche un po’ offesa. Non mi riconosco in una definizione così netta e negativa, ma invece di rifiutarlo a priori ho cercato di capire le motivazioni di tale giudizio.
Certamente non siamo animati da spiriti rivoluzionari come le generazioni che ci hanno preceduto, così come è indubbio che si sia perso per strada il sentimento collettivo, collante necessario per l’agire sociale. Ma credo che ci fosse dell’altro dietro quel giudizio così nitido.
Riflettendoci attentamente infatti questo atteggiamento attendista non è da ricercare soltanto a livello macro. Proviamo a guardarci intorno o magari anche allo specchio. Quanti da mesi/anni aspettano che qualcuno gli dia l’occasione giusta per dare una svolta alla propria vita? E non sto parlando di comprare un biglietto della lotteria, ma di cose molto più concrete, che magari sarebbero effettivamente alla portata di mano se solo ci si sforzasse un pochino di più.
Allora forse potremmo tradurre quel “attendista” come l’incapacità di osare, di crearsi le opportunità per realizzarsi. Secondo alcuni questo atteggiamento deriva dalla bambagia in cui siamo cresciuti, in fin dei conti con quello che abbiamo riusciamo ad andare avanti senza farci mancare smartphones e pay tv. Così torna inevitabilmente in mente quando da piccoli i genitori dicevano “Vi ci vorrebbe un po’ di fame”. Che avessero ragione?
Non so se il mio follower intendeva questo con il suo commento, lo ringrazio comunque per avermi dato un ottimo spunto di riflessione.